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Caso Salis, parla il padre: "Le hanno dato vestiti sporchi e un paio di stivali coi tacchi a spillo"

Intanto sale la preoccupazione a 10 giorni dalla nuova udienza in tribunale

Roberto Salis durante l'incontro a Vimercate con il giornalista Alfredo Somoza

“Le nostre istituzioni all’estero non riescono a farsi rispettare”. Non ha usato troppo giri di parole Roberto Salis – il padre di Ilaria, la 39enne monzese da 13 mesi detenuta a Budapest con l’accusa (sempre rigettata) di aver partecipato alle aggressioni di 2 neonazisti – ospite di un incontro organizzato venerdì a Vimercate, nell’auditorium della biblioteca. Salis ha ripercorso la vicenda che ha portato sua figlia alla ribalta delle cronache internazionali, ricordando anche la difficoltà con l’ambasciata e con la politica fino a quando la vicenda dell’insegnante monzese - ex studentessa del liceo classico Zucchi, tra le fondatrici 20 anni fa del centro sociale Foa Boccaccio e attivista antifascista – è diventata di dominio pubblico. Poi è scoppiato lo scandalo quando a gennaio, durante l’udienza preliminare, la donna è stata portata in aula coi ceppi a mani e piedi e tenuta al guinzaglio.

Quei primi 35 terribili giorni 

Roberto Salis dimostra una grande forza nel raccontare quei primi 35 giorni di detenzione in carcere della figlia: l’arresto, il trasferimento in commissariato “dove l’hanno lasciata in mutande, reggiseno e calzini e le hanno poi dato abiti sporchi e un paio di stivali coi tacchi a spillo. I poliziotti le dicevano ‘W il duce’. Poi è stata trasferita in cella, dove è rimasta da sola per 8 giorni senza neppure il kit per l’igiene. La volevano interrogare senza neppure la presenza di un avvocato”. Il resto è cronaca ben nota e Roberto Salis non ha parole tenere verso le istituzioni. “Mia figlia è rimasta con gli stessi abiti per oltre un mese. L’ambasciata non è riuscita a farle recapitare il pacco con vestiti e kit per l’igiene”. È molto provato Roberto Salis quando ricorda quei primi 35 giorni di carcere di sua figlia che è riuscito a sentire per la prima volta a settembre e a vedere a ottobre. “L’ambasciata ha in questi casi un ruolo fondamentale – prosegue Salis -. Deve farsi carico di quello che la famiglia non può fare. Attraversato l’avvocato avevo chiesto ad Ilaria se voleva che facessimo sapere ai media quello che le stava capitando ma non ha voluto. Era terrorizzata. Io se mi fossi trovato al suo posto, anche solo dopo pochi giorni di quello che lei ha subito avrei confessato qualsiasi cosa”.

Quel video che non convince

Salis non crede alle accuse mosse contro Ilaria. “Io non sapevo che Ilaria fosse andata a Budapest, né sapevo dell’esistenza di quella manifestazione (il Giorno dell’onore, manifestazione neonazista che viene celebrata l’11 febbraio nella capitale dell’Ungheria, ndr). Io ho visto le immagini del video dell’aggressione con i volti delle persone mascherati. Mia figlia è sempre stata una grande sportiva e non corre come la persona che ho visto nel video. Peraltro la polizia dice di aver trovato nel taxi dove è stata fermata mia figlia dei manganelli. Ma sui quei manganelli non ci sono le impronte di Ilaria”. Solo dopo l’arresto Gabriele Marchesi (il giovane milanese anche lui accusato di essere tra i presunti aggressori durante il Giorno dell’onore, ndr) la donna ha acconsentito alla proposta del padre di rendere pubblica la sua vicenda. “Ho portato le telecamere nelle aule del tribunale dove Ilaria è stata condotta in catene – ha ricordato –. Peraltro era già successo e l’ambasciata italiana lo sapeva. Le nostre istituzioni non riescono a farsi rispettare: il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha chiamato l’ambasciatore ungherese che non si è presentato all’incontro mandando al suo posto un vice. Abbiamo chiesto di farsi garante per i domiciliari di nostra figlia ma ci hanno detto che non si può fare. Anzi che è colpa nostra che avremmo dovuto chiedere prima i domiciliari in Ungheria. Abbiamo chiesto di poter portare i domiciliari in ambasciata ma ci hanno detto che non è possibile, malgrado per i marò sia stato fatto”. Salis è molto amareggiato anche per alcune dichiarazioni degli stessi politici italiani, come quelle del leghista brianzolo Andrea Crippa, braccio destro di Matteo Salvini. “Crippa si augura che mia figlia possa dimostrare la sua innocenza: qui siamo a una deriva pericolosa”.

Tra 10 giorni ancora in aula 

Intanto tra 10 giorni ci sarà l’udienza operativa e Ilaria Salis tornerà nuovamente in aula. “Le hanno consegnato un hard disk con le immagini da visionare. Un hard disk contenente immagini pari a 5 mila film. Da visionare su un pc dove è installato Windows 7 che non riesce neppure ad aprire le immagini. Questo è un processo politico contro una cittadina straniera antifascista”. Roberto Salis ricorda che in ballo non quello che sta succedendo a sua figlia “riguarda tutti, ci sono di mezzo valori etici e morali che non sono né di destra né di sinistra. Se sei patriota devi difendere i diritti dei cittadini”.


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